Pasqua a Gerusalemme. Incontro con Don Valerio Chiovaro. La Chiesa di Papa Francesco.
“Io, Missionario a Gerusalemme”, questo è il racconto di uno dei sacerdoti più amati di Reggio Calabria, che un giorno scrive al Papa e chiede di tornare a fare il sacerdote nel deserto degli ultimi. Una favola.
di Pino Nano
Martedì 11 Aprile 2023
Roma - 11 apr 2023 (Prima Pagina News)
“Io, Missionario a Gerusalemme”, questo è il racconto di uno dei sacerdoti più amati di Reggio Calabria, che un giorno scrive al Papa e chiede di tornare a fare il sacerdote nel deserto degli ultimi. Una favola.

Basta arrivare a Gerusalemme City e chiedere dei missionari italiani. Non c’è poliziotto attorno al muro del pianto o dentro le mura che avvolgono la Basilica del Santo Sepolcro che non sappia che indicazione darti. 

"Cercate don Valerio Chiovaro? Il sacerdote calabrese? Bene, proseguite in questa direzione, poi girate a destra e andate avanti sulla spianata, a due chilometri da qui troverete la sua missione e la sua casa. Ecco l’indirizzo esatto che cercate, Casa Kerigma, in Benjamin Disraeli Street, a soli 25 minuti a piedi dal Santo Sepolcro, la Chiesa delle Resurrezione, luogo santo per antonomasia".

Spiazzante, quasi commovente la maniera con cui ci accoglie. E’ è come se ti avesse appena salutato in Italia, per ritrovarci il giorno dopo qui in questa casa dove regna il silenzio e la semplicità degli ultimi, un tavolo, le sedie attorno, una piccola credenza, un giardino all’esterno, un cesto pieno di arance, e fuori il rumore lontano di una città che rimane al centro del mondo, un luogo di preghiera, di contemplazione, di opera missionaria, di amore trasversale.

Don Valerio Chiovaro ci racconta l’inizio di questo suo nuovo cammino a Gerusalemme con la consapevolezza assoluta di chi sa esattamente cosa vuole dalla vita.

“E’ qui, nel luogo in cui Dio ha scelto di irrompere nella storia dell’uomo che sorge la nostra casa Kerigma. Accogliere, ascoltare, attendere: sono i tre verbi legati a questa esperienza che avvicina Reggio Calabria alla città “eletta” dal Signore. Un detto rabbinico racconta che quando il discepolo si presentò al maestro, l’ultimo gli fece tre domande: «Se non tu chi? Se non adesso quando? Se lo fai solo per te che persona sei?»

In realtà, una mattina questo giovane sacerdote reggino si sveglia e si rende conto che la sua vita deve proseguire, perché quello che ha intorno forse non gli basta più, perchè la sua storica parrocchia reggina gli ha forse dato tutto quello che lui avrebbe potuto sperare di avere fino ad ora, ma lui ora cerca oltre. Una sfida intima che non si ferma, contro se stesso, contro il suo mondo, e da rigoroso intellettuale della Chiesa di Francesco sa di poter ancora osare, e anche molto. Ecco allora che don Valerio ritrova il coraggio di sognare. Prende carta e penna e chiede ai suoi superiori di poter andare in Terra Santa per fare il missionario.

Molti proveranno a fermarlo, ma l’uomo è un romantico, un visionario, un filosofo, folle e ribelle, un poeta dei giorni nostri.

“Ma lui lo è sempre stato un poeta- ricorda sorridendo l’Arcivescovo Emerito di Cosenza mons. Salvatore Nunnari che lo segue da quando Valerio era ancora un giovane seminarista-. Valerio è un sacerdote di grande carisma, e quello che ha fatto è un segnale di una forza dirompente per tutti noi, sacerdoti e fratelli come lui. Ha lasciato la comodità della sua bella chiesa reggina per un’avventura del tutto nuova, beato lui che ha avuto il coraggio di osare. Ad un sacerdote come lui, gli va augurato tutto il bene possibile, perché grazie a questi preti la Chiesa è ancora forte presente e protagonista nel mondo”.

In realtà la storia personale di don Valerio sembra davvero un pezzo del Vangelo di Gesù, lui apostolo tra gli apostoli, lui missionario ai margini di un deserto pieno di pericoli, in una città dove odio amore disprezzo e violenza sono di casa ogni giorno e sono le due facce della stessa medaglia, lui figlio di una città lontana da qui oltre 3500 chilometri via terra, nato e cresciuto a Reggio Calabria, ma soprattutto storico sacerdote della chiesa della Cattolica dei Greci (o Santa Maria della Cattolica dei Greci), l'istituzione cristiana più antica nella città dello Stretto.

-Don Valerio perché Gerusalemme?

Partiamo dall’inizio. “Indurire il volto verso Gerusalemme” significa arrivare, morire, risorgere, rigenerarsi nello Spirito, riascoltare il mandato apostolico ed andare ad annunciare. Da qui si riceve la “missione”.

-Ma perché la Terra Santa?

È vero, è strano, pensare la Terra Santa come terra di missione, e quindi è strano pensare qui un “fidei donum”, un dono della fede, ma al di là delle formule e delle “collocazioni” canoniche, è significativo tornare in Terra Santa per gustare il dono di una fede ricevuta e accogliere quanti in questa terra vogliono riconoscere il Santo.

-Una scelta di vita? Una prova con sé stessi? O anche una provocazione generale?

È anche questo forse il senso di casa Kerigma. È un modo speciale per essere in missione: accogliere, ascoltare, attendere. Accogliere per educare all’accoglienza; ascoltare, per educare alla Parola; attendere per accompagnare all’incontro. E questo con particolare riferimento a quanti vogliono fare della volontà di Dio la propria vita.

-La prima cosa che le viene in mente se le chiedo un bilancio della sua missione qual è?

Il senso dell’accoglienza che ho trovato qui a Gerusalemme, tanta. Mi sono sentito accolto da una chiesa antica, aperta al mondo e fedele al tempo; accolto dai frati cappuccini; dai frati minori della custodia; dal Patriarca. Accolto come uno di famiglia, uno che ritorna a casa, ancora una volta, senza la pretesa di poter dare qualcosa, ma grato per il dono ricevuto. Perché, in fondo il fidei donum non è il “prete che va a donare la fede”, ma il prete che si riconosce, ancora una volta, come un “accolto”. E non si educa all’accoglienza se non ci si sente accolti.

-E questa casa nel cuore del quartiere residenziale della Gerusalemme ebraica ?

È una bellissima casa dell’accoglienza. Questa stessa accoglienza è quella che hanno vissuto i tanti che hanno cominciato ad abitare casa Kerigma, una casa dove fare esperienza di cenacolo, dell’essenzialità di relazioni fraterne. Una casa per le poche parole del kerigma e dei tanti silenzi dell’attesa. Qui ci si sente semplicemente accolti, perché non c’è pane spezzato, se non ci sono prima piedi lavati. E la stessa missione dell’accogliere è stata riservata a gruppetti di studenti universitari provenienti da diverse parti del mondo, con i quali, una volta la settimana, condividiamo confronto e cena…

-Perché dice continuamente che qui ha ritrovato la  “magia” dell’ascolto?

Perché “Ascoltare” è forse tra i verbi più “bestemmiati” nei nostri ambienti.

-In che senso don Valerio?

È difficile trovare chi ti ascolti veramente e l’ascolto è uno tra i “colori” del “prendersi cura”. Il ministero che qui vivo, la missione in questa chiesa di Gerusalemme e dalla chiesa reggina, è anche l’ascolto. Per educare all’ascolto di Dio, bisogna saper educare all’ascolto e, come ad amare si educa amando, così ad ascoltare si educa ascoltando. A casa Kerigma -un eremo tra i santuari della città santa- tante, già da adesso, sono le persone che chiedono ascolto: laici, sacerdoti, giovani. In particolare, sacerdoti e giovani. Sacerdoti che vengono qui in terra santa per prendere sul serio il proprio "sì", per riposare a fronte delle fatiche pastorali, ma anche dei rapporti intraecclesiali, a volte deludenti.

-Parla di sacerdoti in crisi?

Parlo più semplicemente di uno spaccato di una chiesa vista dall’interno, dalla voce di chi vive, serve, dona e… soffre, ma sempre fedele, continua. È arricchente, poter essere “cuore che custodisce” la bellezza e, a volte, il dolore di questi confratelli. Ci si sente piccoli e in missione, nonostante non sono io ad andare da loro, ma sono loro a venire in Terra Santa.

-Il terzo verbo di questa sua missione è l’attesa, mi spiega meglio Padre?

Vivere di attesa, non vuol dire vivere solo di qualche buona scorta di salame e parmigiano. Vivere l’attesa di chi va accolto e ascoltato. Vivere l’attesa di Maria, gravida del Bambino per lasciare spazio alla sua nascita. Vivere l’attesa del Figlio dell’Uomo che qui -Lui è il vero missionario- verrà per giudicare il mondo. L’attesa di chi non si aspetta nulla, ma attende qualcuno. L’attesa -quel tendere verso- che ci fa essere missionari ovunque, perché la missione non è un luogo, ma un essere chiesa fedele alle sue origini, una chiesa che non rinuncia alla sua originalità. E qui, a Gerusalemme, anche i ciechi lo vedono, i sordi lo ascoltano e le pietre lo annunciano.

-La vedo felice, pieno di vita e di passione…

La nostra missione è davvero meravigliosa. Partendo dalla casa Kerigma, abbiamo scelto di riprodurre la vita degli apostoli, con riferimento al mistero dell’incarnazione e con particolare enfasi su "Parola e Fatti" del cenacolo, sui contenuti e sui modi dell’annuncio. La casa ha quattro finalità: la formazione di giovani, universitari e seminaristi; il riposo e ricarica spirituale per sacerdoti e laici; un cantiere sinodale e un laboratorio di discernimento comunitario; infine, un laboratorio per il Patto Educativo Globale.

-Perché la scelta è caduta su Gerusalemme?

Perché Gerusalemme è capitale dello Spirito, delle tre religioni monoteiste, delle diverse confessioni della Cristianità. Gerusalemme è il punto di incontro tra l’Antico, il Nuovo Testamento e i primi passi della Chiesa. Qui muoiono i profeti, qui si suda sangue, qui si risorge, e - a fronte della Pentecoste – qui si riparte forti dello Spirito e della garanzia del Maestro: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione di questo tempo”. Capisci?

-Quanta fierezza c’è oggi dentro di lei per questa sua missione in Terra Santa Padre?

Tanta devo dire. E sai perché? Perché Kerigma è un progetto sostenuto dalla diocesi di Reggio Calabria, patrocinato anche dal dicastero vaticano per le chiese orientali e dal Patriarcato Latino di Gerusalemme, ma sognato e sostenibile grazie ad Attediamoci ODV, una realtà nata a Reggio Calabria e operante in diverse città d'Italia con la missione di prevenire il disagio giovanile e promuovere le risorse personali. L'approccio di Attendiamoci coinvolge lo sviluppo della persona a 360 gradi in tutte le sue dimensioni, attraverso diverse attività: percorsi formativi, vita comunitaria, gestione di beni confiscati alla mafia, attività teatrali, formazione spirituale, sperimentazioni educative. Per ora è solo l’inizio di questa missione, che ancora non so dove mi porterà e soprattutto chi mi farà diventare… Ma non mi sento né più né meno missionario di tutti voi. In fondo chi non è missionario si può dire cristiano?

-Perché l’avete chiamata Kerigma?

Il kerigma, dal greco κήρυγμα, che letteralmente significa "gridare" o "proclamare", è la parola usata nel Nuovo Testamento per indicare l'annuncio del messaggio cristiano. Convinti dell'importanza della cura della spiritualità in un'ottica di formazione globale della persona, la casa Kerigma di Attendiamoci a Gerusalemme è un luogo dove riprodurre i fatti del cenacolo, i contenuti e i modi dell’annuncio.

-Una Chiesa dentro altre chiese?

Diciamo meglio, una lucerna accesa, che testimonia ed è a servizio della “fiamma dello Spirito”, perché ciascuno possa sentire, nella e dalla Città Santa, la forza del Consolatore e la pienezza dei suoi doni. Tutto ciò per coloro che risiederanno, ma anche per i tanti amici che seguiranno le attività da remoto.

-Non è visionario tutto questo?

Certamente sì, ma stai  attento, la casa Kerigma è un luogo umile dove sperimentare una rilettura della propria storia, secondo il mistero della incarnazione e l’azione dello Spirito. E tutto questo può avvenire anche attraverso la semplicità della vita comunitaria, in un clima di preghiera continua per le persone care che ci seguono da diverse parti dell’Italia. Chi vuole potrà vivere con noi una permanenza prolungata da 7 a 15 giorni per ripercorrere le orme del Maestro e i fatti della salvezza nella Città Santa.

-Chi avesse voglia di venire qui da lei cosa deve fare?

Basta seguire le indicazioni dal sito “www.casakerigma.it”, e soprattutto condividere la missione della casa. Ma si può essere qui anche senza stare qui, ad esempio nella preghiera dedicata a quanti vorranno indicare le proprie necessità ed intenzioni. La mia permanenza a Gerusalemme è un servizio a tutti quelli che ho avuto il dono di incontrare. Come sempre, il ricordo nella preghiera e l'offerta eucaristica per le vostre intenzioni (e per i vostri cari defunti) sarà parte importante della mia attività. Chi lo vorrà, tramite questo semplice modulo che vede qui sul tavolo, potrà indicare le messe che intende dedicare in suffragio per i suoi defunti o, più semplicemente, per una qualsiasi intenzione di preghiera. E io farò di tutto per servire questi desideri e questa causa.

-Come si sostiene casa kerigma?

La vita a Gerusalemme è molto costosa. E, come è stato per la stanza del cenacolo, anche Kerigma è una casa in affitto. La diocesi di Reggio Calabria sostiene il 25% delle spese di affitto, il resto è sostenuto attraverso donazioni (http://donations.casakerigma.it) e l’impegno di Attendiamoci. Mi commuove pensare che i giovani di questa associazione sacrifichino qualcosa di proprio per sostenere questo “cenacolo di ascolto, accoglienza e attesa”. Per il vitto, ogni pellegrino che viene è un pò il segno della provvidenza.

-Chi avrebbe voluto portarsi dietro qui a Gerusalemme e magari non lo ha potuto fare?

Onestamente penso di aver portato tutto e tutti. Ho raccolto le mie cose in 32 kg di valigia, ma soprattutto ho il cuore pieno dei miei affetti più veri e più cari, a partire dai parrocchiani della Cattolica, di Armo, e poi i giovani di Attendiamoci, il mondo universitario, i giornalisti dell’UCSI, i miei familiari. È bello sperimentare che c’è sempre spazio nel cuore e non c’è sovrapprezzo nell’allargare e nel comprendere. In fondo in terra santa si porta tutto, forse qualcosa va lasciato prima di partire. Quindi ho lasciato un pò di sicurezze, qualche punta di benessere, essere riconoscibile e riconosciuto… Ho lasciato un pezzo di me, ma anche questo è necessario per far largo all’altro.

 


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