Bookdown..."Il Virus della lettura..." a cura di CARMINE CASTORO

L’uomo, fra dominio e resistenza.

La grande lezione di Foucault.

(Prima Pagina News)
Mercoledì 26 Maggio 2021
Roma - 26 mag 2021 (Prima Pagina News)

L’uomo, fra dominio e resistenza.

La grande lezione di Foucault.

E’ un vero gioiello di archeologia filosofica questo “Discipline, poteri, verità” (Marietti editore), preziosissima collettanea di scritti di Michel Foucault compresi fra il 1970 e il 1984, anno della sua morte.

 Innanzitutto per la bellezza di un metodo di raccolta e di esposizione della dottrina di un indimenticabile pensatore francese che qui vede la sua monumentale opera distribuita, riflessa, felicemente dispersa in tanti sorgenti di sapere che non afferiscono alla classica saggistica che lo ha reso famoso, ma che sono, come tante pietruzze purissime e sfavillanti, interviste radiofoniche, talk culturali, querelle letterarie, manifesti intellettuali, interventi pubblici, opinioni cinematografiche, collaborazioni giornalistiche.

 Insomma, tutto un repertorio multiforme e policentrico che sembra quasi irradiarsi con la stessa pragmatica oscillazione di voci, esternazioni, riflessioni e prassi che – oltre ogni metafisica – Foucault ha sempre attribuito al baricentro delle sue impareggiabili ricerche: il potere (con la p minuscola), ovvero un qualcosa di ramificato e mai appropriato una volta per sempre, che si manifesta attraverso rituali di attivazione, discorsi di verità, tagli ideali, superfici, agglomerati, linee di costituzione, consolidamento, lacerazione.

 Questa antologia sembra la perfetta epitome del concetto stesso di “potere” i cui contorni Foucault chiarisce soprattutto in un paio di belle interviste contenute nel libro, quando ne svela la “vischiosità” e la non onnipotenza, il suo non essere “una sorta di istanza lunare, ultraterrena”, e soprattutto il suo essere slegato dalle istituzioni ufficiali, dai grossi corpi amministrativi e dalle arcinote funzioni di esclusione, repressione e occultamento, rinvenendone l’episteme altrove.

  “In generale – dice l’esimio professore del Collège de France -, credo che il potere non si costruisca a partire da volontà (individuali o collettive), così come non deriva da interessi. Il potere si costruisce e funziona a partire da poteri, da una molteplicità di richieste e di effetti di potere.

 E’ questo ambito complesso che dobbiamo studiare. Ciò non significa che sia indipendente, e che lo si potrebbe decifrare al di fuori del processo economico e delle relazioni di produzione”.

 Tema attualissimo, dunque, e cogente poiché, nell’era delle iper-tecnologie, delle neuroscienze e della sorveglianza universale, il dominio degli individui e delle masse non ha dimenticato carceri, reparti, celle, sale di tortura, “eterotopie” per dirla alla Foucault, luoghi “altri” di intercettazione, detenzione e riduzione delle diversità-devianze che insolentiscono la sua infrangibilità e possanza, o ne mettono in discussione la cifra e l’esecutività.

  Anzi, forse esso ha raddoppiato i suoi circuiti, rese esponenziali le sue meccaniche e partiture, associando alle aree fisiche di punizione e smistamento i sistemi-smart di penetrazione nella privacy degli individui.

 Un reale sagomato e puntiforme, sovra-razionalizzato, ma anche sfilacciato, senza un unico punto di addensamento: questo sembra essere il dispositivo biopolitico nei cui viluppi sempre più muti ed enigmatici, quasi esoterici, cadiamo come mosche in una astuta ragnatela globale. Esercitiamo la libertà di pensiero e di scelta, ma rimuoviamo la lavagna liscia dove essa scorre come bava infeconda.

  L’essere umano oggi, fra social, media espansi, intoccabili leggi del profitto e  - come dimenticarla – una recentissima neo-oligarchia medico-politica che ci impone soglie di rischio, restrizioni di condizioni di vita e di esercizio dei nostri diritti a cospetto di un virus letale, non è più il delta di una scala evolutiva, è disarticolato: la sua dimensione psico-biologica separata da quella sociale, familiare e politica o a questa sostituita, vivisezionato e sfruttato in ciò che serve all’imperscrutabile volontà del mercato, volta per volta risvegliato come cellula dormiente per il lancio di un nuovo prodotto, scavato nella sua essenza come roccia, dilaniato dalle farneticazioni mediatiche, o “curato” nella sua mera fisicità anatomica.

Come chiarisce molto bene Mauro Bertani in un saggio di postfazione sapido e sofisticato, seguendo la china teoretica di Foucault, siamo passati dall’era dei grandi dinasti - con i loro cerimoniali pubblici di supplizio del colpevole e delle sue membra vergognose, agli occhi di un popolo che andava educato con lo spettacolo della crudeltà e del sangue -, alla “società disciplinare” che dal XVIII secolo inquadra l’uomo come corpo-macchina dentro le tecnologie di un potere visto sempre più come forza economica, contenitiva e riabilitativa (fabbriche, scuole, caserme, carceri, manicomi), per finire alla “governamentalità biopolitica” -tristemente attuale in materia di Covid -, che agisce sul corpo-specie, sulle grandi quantità demografiche che devono essere sincronizzate e setacciate secondo norme di igiene, prevenzione, fertilità, longevità, mortalità, morbilità e secondo curve statistiche e regolamentazioni che mettono a regime il “vivente” sulla base dell’esempio delle scienze empiriche e sociali, e dei diktat del dio Mercato ormai imperante.

 Foucault ci porta dritti alla contemporaneità dove furoreggia ormai un individuo desimbolizzato e deconflittualizzato, messo al muro di performance continue, di responsabilità e formazioni incessanti, un essere umano di cui contano soprattutto la docilità, le spinte al consumo, l’acefala assuefazione, la gestibilità dei dati personali, la varietà delle abitudini indotte, la depersonalizzazione intellettuale.

  In questo brodo precotto di profitti e cecità, standard e sonno etico, in cui i corpi – e soprattutto oggigiorno le menti – sono fasci di forze e ricettacolo di condizionamenti sottili, possiamo solo sguazzare nelle acque reflue dell’obbedienza? Non possiamo aspirare a nessuna scintilla di ribellione e anticonformismo?

 La risposta ce la potrebbe offrire paradossalmente un giallo, “Il club dei delitti del giovedì” di Richard Osman (SEM). Suspense scarsina, colpi di scena quasi nulli, una soluzione che non fa certo rizzare i peli sulla schiena e sacrifica di molto le aspettative dei cultori di genere. Ma la dorsale del mistery è tutta legata alle vicende di un piccolo gruppo di vecchietti di un lussuoso ospizio che, al bridge, ai corsi di danza e alle solite insulse riunioni fra ottuagenari, preferiscono riaprire cold case o impicciarsi di un bel delitto sotto casa e aiutare gli sceriffi del posto a mettere in gattabuia il colpevole. 

  Qui il libro si offre in una dolcezza espressiva molto gradevole: lo sfondo di queste vite al crepuscolo è fatto di demenza, ricordi dolorosi, bellezza sfiorita, prossima inevitabile fine fisica.

 Pure però, scelgono di non essere ciò che è prescritto socialmente per quelli come loro, abdicano ai loro ruoli stantii, capitalizzano le ultime energie ancora spumeggianti e tornano ad appassionarsi alla vita, ai suoi intrighi, ai suoi schemi di senso, alle scaturigini delle sue verità sepolte, pur sapendo che li sconfiggerà, che trionferà sulla loro carne.

 Foucault aleggia sicuro fra loro. Come ebbe a dire nel giugno dell’82: “Siamo esseri unici.

 Ma i rapporti che dobbiamo intrattenere con noi stessi non sono rapporti di identità; devono essere piuttosto rapporti di differenziazione, di creazione, di innovazione. E’ molto noioso essere sempre gli stessi”.


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