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Si narra che un giorno della metà degli anni 70 del secolo scorso il capo dello Stato Giovanni Leone ebbe una telefonata dal presidente del Consiglio Aldo Moro che, preoccupato, gli disse che aveva bisogno di parlargli con la massima urgenza. Leone gli rispose che poteva vederlo anche subito. E Moro, senza perdere tempo, si recò al Quirinale. Giunto nello studio del presidente, vide che accanto a Leone c’era il figlio Mauro e non aprì bocca. Passano alcuni secondi e Leone gli chiede il perché del suo mutismo. Moro con un cenno della testa gli indica l’“intruso”. Al che Leone osserva: “ma chi? a criatura? A criatura nu capisc!”.
Il “si narra” sta per un episodio che non ha mai avuto conferma né smentita. Tuttavia, nel mondo pettegolo degli addetti alla comunicazione per un certo periodo è circolato parecchio. E’ molto probabile che sia una leggenda, ma con pochi tratti descrive bene i due autorevoli politici.
Di certo l’espressione “la creatura non capisce” non la si può usare per un politico navigato qual è Matteo Salvini. Ma la prendiamo in prestito perché abbiamo l’impressione che il leader della Lega pare non capire che il suo comportamento sembra simile a chi sollevato dalla polvere rischia di rifinirne precipitevolissimevolmente. Un comportamento, cioè, non molto dissimile da quello dell’agosto del 2019 quando tolse l’appoggio del suo partito al Conte I provocandone la crisi di governo nella speranza di andare alle elezioni. Ma, rimase deluso, perché Giuseppi lo sostituì subito con il Pd di Zingaretti e dette vita al Conte II.
Stavolta la situazione è molto diversa da quella di allora. A Palazzo Chigi c’è una persona autorevole come l’ex presidente della Bce, Mario Draghi. Un non politico noto e stimato in tutto il mondo. Un economista che sta facendo acquisire al nostro Paese una stima e un rispetto che forse non ha mai avuto. Una persona che se accetta una carica sa come espletarla e come deve comportarsi chi viene chiamato a collaborare con lui.
Quindi, le uscite di Salvini, come professare il suo sostegno a Draghi nella successione a Sergio Mattarella al Quirinale o affermare che l’attuale governo non può fare le riforme, cioè presentarsi con la carota e il bastone, sull’attuale premier scivolano come l’acqua fresca. Questo per due motivi: 1) in questo momento il problema principale è sconfiggere la pandemia di covid e non la elezione del Capo dello Stato; 2) il governo Draghi ha una maggioranza ampia nella quale la Lega non è determinante. Per cui se l’uomo del Carroccio si agita assicurando che quando sarà lui a governare rifarà il blocco dei migranti in mare o pretendendo che si affronti la lotta al covid con il libera tutti, rischia di imboccare una strada sbagliata. Una strada che potrebbe portarlo con un po’ di anticipo a ritrovarsi in costume da bagno sulla spiaggia del Papeete di fronte al mare Adriatico a gustare tanti mojito per dimenticare amarezze e delusioni. Non certo a farlo assurgere a quella autorevole poltrona nella quale ora siede Mario Draghi.
Una poltrona per la quale, se Salvini ci tiene tanto a occuparla, deve ancora studiare molto, capire che governare è diverso dal fare campagna elettorale (vedi i 5 Stelle), cominciare a trovarsi collaboratori seri e qualificati e non yesmen, supplicare il cavaliere scavallato a insegnargli come si fanno le leggi ad personam, pregare Iddio, con le corone e coroncine di cui in passato ha fatto bella mostra, affinché il nostro Bel Paese si liberi presto da tutte le impurità e incrostazioni fisiche e mentali che gli hanno consentito di accumulare i nostri governanti dei “tiemp bell ‘e na vota”.