25 APRILE, L’eredità democristiana senza la quale non si vince
Abbiamo chiesto allo scrittore Mimmo Nunnari, storico del Mezzogiorno e autore di decine di saggi sulla Questione Meridionale una chiave di lettura del 25 aprile legata al momento politico attuale, e nella sua analisi il giornalista richiama il ruolo della vecchia DC.
di Mimmo Nunnari
Lunedì 24 Aprile 2023
Roma - 24 apr 2023 (Prima Pagina News)
Abbiamo chiesto allo scrittore Mimmo Nunnari, storico del Mezzogiorno e autore di decine di saggi sulla Questione Meridionale una chiave di lettura del 25 aprile legata al momento politico attuale, e nella sua analisi il giornalista richiama il ruolo della vecchia DC.
Il partito della Democrazia Cristiana (DC) che nacque tra il 1942 e il 1943 durante il fascismo, attorno a uomini come De Gasperi, Piccioni, Spataro e a giovani cattolici come La Pira, Dossetti, Moro, Fanfani, Andreotti, partecipò attivamente alla lotta di liberazione dal nazifascismo, fece parte del CLN, governò, nell’Italia libera e repubblicana, per mezzo secolo e si sciolse nel 1994 sotto i colpi di mannaia di Tangentopoli, quando ancora sfiorava il 30 per cento dei consensi elettorali.

Con la sua fine, che a molti politologi sembrò inevitabile, si chiusero insieme un’epoca e la vicenda politica di un partito che fra luci e ombre aveva contribuito a fare l’Italia della seconda metà del Novecento. Dalle sue ceneri, poi nacquero tre movimenti: Il Partito popolare italiano, guidato da Mino Martinazzoli, che era stato l’ultimo segretario dello scudocrociato, avendo rimpiazzato il dimissionario Arnaldo Forlani, il Centro cristiano democratico di Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella e i Cristiano sociali di Pierre Carniti e Ermanno Corrieri.

Come andarono dopo le cose si sa. Fa parte della cronaca politica degli ultimi decenni, che sulla scena ha visto irrompere e dominare Silvio Berlusconi col movimento Forza Italia, aggregatore del centrodestra, e il centrosinistra alternarsi al Governo, con coalizioni che comprendevano post democristiani e post comunisti e hanno generato nel 2007 il Partito democratico, nato dalla confluenza dei Democratici di sinistra e della Margherita.

Fu lo sbocco naturale di una posizione politica che aveva preso le forme dall’intuizione di Romano Prodi, e dell’Ulivo, già nel 1996. Doveva essere un’idea innovativa al servizio della democrazia italiana in crisi e bisognosa di profonde ispirazioni etiche e anche religiose. Nei fatti però tutto ciò non accadde: il Pd, malgrado le buone intenzioni iniziali dei fondatori è rimasto una realtà fatta di notabilati locali e nazionali.

La somma di una classe politica non proprio eccellente, sopravvissuta a Tangentopoli, con alla guida improvvise meteore come Matteo Renzi, leader arguto, anche capace, ma incline a sopravvalutarsi e sottovalutare gli altri. Nei propositi, il Pd doveva superare la spaccatura storica tra Dc e Pci, tuttavia, quelle fratture, tipiche di una lontana lotta politica, sebbene negate, e qualche volta solo apparentemente sparite (con Prodi al Governo) sono invece rimaste insanabili, alimentando tradimenti, contrapposizioni, disunità. Sono alternativamente prevalse, a riempire la mancanza di visioni, identità, orizzonti, base sociale e soprattutto leadership, la vecchia doppiezza comunista o la furbizia storica democristiana.

Il tema di fondo, della crisi del Pd, non è stata l’intuizione di farlo nascere, ma piuttosto la debole definizione della sua identità.

 Con l’arrivo alla segreteria di Elly Schlein - la giovane leader che nessuno aveva visto arrivare, eccetto Dario Franceschini - il sogno del Pd partito pluralista, inclusivo, capace di fondere idee e potenzialità dei partiti che furono (Dc e PCI), e di avere nel Paese la funzione di grande coagulo di volontà e aspettative di rinnovamento, sembra decisamente sfumato. Schlein, è arrivata con idee chiare, interpreta una sinistra che punta sui diritti sociali e civili e ha, almeno guardando alle sue prime mosse, rovesciato la scelta forzatamente continuista di tenere assieme l’anima della sinistra e l’anima del centro cattolico. Con lei, come ha scritto più chiaro di tutti Gigi Riva, su l’Espresso: “E’ la fine di un equivoco che ha accompagnato il Partito democratico fin dalla sua nascita, sedici anni fa”. 

Il partito che doveva essere punto d’incontro, tra due culture politiche - democristiana e comunista - è stato un’illusione. Non è in gioco almeno per ora la sua esistenza, come pure qualcuno azzarda, ma è difficile prevedere quale sarà il suo futuro senza un’apertura a movimenti d’opinione presenti nel Paese che hanno orientamenti culturali differenti della sinistra. Si ripropone, con la segreteria Schlein, se sarà cancellata ogni traccia di quella complessa realtà che viene chiamata mondo ex democristiano, la questione di come trasformare un’opposizione in una maggioranza che sia in grado di vincere le elezioni e governare.

La domanda se l’è posta Massimo Veltri, nei giorni scorsi, su questo giornale: “Se la scelta di eleggere Schlein comporta in tutta evidenza lo spostamento della linea politica verso orizzonti più radicali, connotati per fasce sociali, certamente non moderate e centriste, qual è la scelta conseguente nei riguardi di quest’ultime? Le si abbandona in balia delle sirene della destra?”.

Che cosa faranno, dunque, i cattolici, rimasti per ora dentro il Pd, è presto per dirlo. Il superprudente Pier Luigi Castagnetti, che calcisticamente, per sua ammissione, ha la mentalità del mediano, e resta l’interprete più credibile e di spessore di quel che fu di buono e di qualità la Democrazia Cristiana e poi il Partito popolare, è cauto: “
Il nostro è un partito democratico, l'ultimo rimasto.

La linea la danno gli organi direttivi, non un leader da solo, Schlein lo sa”, ha detto in un’intervista ad Avvenire. Linguaggio sobrio, misurato, da cattolico, da erede della tradizione democristiana che privilegiava il dialogo, il compromesso, la responsabilità, finalizzata ad includere e non a escludere. Non ebbe dubbi, all’inizio della storia democristiana, Alcide De Gasperi, ad aprire alla collaborazione con i laici, anche quando, dal punto di vista dei numeri, non ce n’era bisogno. E questa linea, aperturista, plurale, è rimasta fino all’estinzione della Democrazia Cristiana.

Non tutti, però, sono attendisti o prudenti tra i vecchi leader democristiani del passato. Guido Bodrato, leader della sinistra democristiana, classe 1933, ha rotto gli indugi:
”Schlein ha cancellato i cattolici democratici dal Pd.

Non perdete tempo con chi non vi ama. Il resto verrà”. Che cosa verrà non sappiamo ma quel che è certo è che in un momento di grande incertezza nella vita politica del Paese, con l’emergere di nostalgie di tempi foschi e già condannati dalla storia, l’eredità democristiana, che nessuno sembra in grado di ricevere, o di volere, è un patrimonio di cui parte del Pd - come è emerso nel dibattito della prima riunione della nuova direzione - non intende fare a meno, e ha chiesto a Elly Schlein di verificare  entro il perimetro stretto piddino e la sussistenza delle condizioni di agibilità, a riguardo dell’impegno dei cattolici.

Di questi temi si è anche parlato alla riunione del “Comitato dei 58”, l’organismo che dal congresso del 2002 garantisce la continuità del Ppi, partito mai sciolto tecnicamente, ma soltanto sospeso. E’ stata l’occasione per un ampio confronto sul futuro dei Popolari, dai quali, alla segretaria Schlein, è arrivato un democristianissimo avvertimento: “ Un Pd senza i cattolici non sarebbe più il Pd”.  

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