Bettino Craxi. “Dopo trent’anni bisogna solo non dimenticare”.
Sono passati trent’anni dall’uscita di scena di Bettino Craxì, dopo i mille linciaggi morali e materiali subiti, ma nessuno può dimenticare quella pagina di storia, che noi abbiamo chiesto di ricostruire ad un grande cronista politico come Raffaele Malito, che di quella fase è stato anche un protagonista di primo piano.
di Raffaele Malito
Domenica 30 Aprile 2023
Roma - 30 apr 2023 (Prima Pagina News)
Sono passati trent’anni dall’uscita di scena di Bettino Craxì, dopo i mille linciaggi morali e materiali subiti, ma nessuno può dimenticare quella pagina di storia, che noi abbiamo chiesto di ricostruire ad un grande cronista politico come Raffaele Malito, che di quella fase è stato anche un protagonista di primo piano.

Trenta anni fa, il 30 aprile 1993, si consumava, davanti l’hotel Raphael, con il lancio delle monetine contro Bettino Craxi, la barbarie giustizialista di Mani Pulite e, con essa, la fine della prima Repubblica, l’inizio del populismo che ha stravolto le regole della civiltà politica, il sopravvento del giustizialismo sulla civiltà giuridica con la rottura degli equilibri dei poteri sanciti nella nostra Costituzione.

Il Corriere della Sera ha ricordato, con grande precisione, questo anniversario, cruciale nella storia d’Italia, ricostruendo quella giornata con i commenti e i pensieri di alcuni protagonisti di quel tempo, uno dei magistrati del pool Mani Pulite, Gherardo Colombo, il segretario del Pds, Achille Occhetto, Il capo ufficio stampa di Fini, Francesco Storace, le testimonianze di Luciano Del Castillo, l’unico fotografo tra quella folla inferocita, il figlio Bobo Craxi. 

Un anniversario che, come accade, ogni anno, quando si ricorda, il 19 gennaio, la morte del grande leader socialista, avvenuta ad Hammamet, nel 2000, è l’occasione per riflettere sulla storia italiana di quel tempo: la distruzione di un’intera classe politica, preceduta dall’attacco stragista della mafia contro lo Stato con l’uccisione di Giovani Falcone e Paolo Borsellino.

 Ma le rievocazione del tentato linciaggio di Craxi, dopo che, la sera prima, con il voto segreto, la Camera dei deputati aveva rigettato quattro delle sei autorizzazioni a procedere nei suoi confronti, è anche la spia delle viltà che, oggi, trenta anni dopo, rivelano, alcuni dei protagonisti di quella stagione, dimenticando o nascondendo quanto avevano detto e fatto in quel tempo.

 Gherardo Colombo che oggi tenta di accreditarsi come garantista e rispettoso della dignità umana e personale anche dell’indagato, ha dimenticato che è stato uno dei pilastri, insieme  con gli altri inquisitori del Pool Mani pulite, Davigo, Di Pietro, D’Ambrosio e il loro capo, il Torquemada Borrelli,  tutti ideatori ed esecutori della rivoluzione giudiziaria con la missione di annientare un’intera classe politica. 

Alcuni dati di quella rivoluzione, che si è espressa con la più colossale operazione di repressione penale e di polizia giudiziaria della nostra storia:3500 arrestati, 30000 inquisiti tra i quali 400 parlamentari, decine di ministri ed ex ministri, quattro ex presidenti del Consiglio, centinaia di imprenditori, sindaci, assessori, presidenti di grandi imprese pubbliche e private.  Chi non ha retto all’inquisizione si è suicidato: come il parlamentare socialista Sergio Morioni, i manager Cagliari e Gardini. Colombo, insieme con gli altri due della triade giustizialista, Davigo e Di Pietro, andò, in diretta televisiva, al Tg1 a minacciare il governo di non approvare il decreto che si proponeva di modificare sostanzialmente la carcerazione preventiva.

 Oggi, dopo trenta anni, di fronte al video delle monetine e dell’assalto a Craxi dice con anima candida:“A me fa lo stesso effetto di allora: io credo che sia sempre necessario rispettare le persone: in quell’occasione fu violata la dignità dell’onorevole  Craxi : quelle immagini mi colpiscono negativamente, non si dovrebbero  mettere le persone alla berlina.”

 Ma non risulta che, in quel tempo, Colombo disse o fece qualcosa di sostanziale per cambiare il modus operandi del Pool Mani pulite. L’altra anima candida a cui il Corriere ha chiesto un commento sul 30 aprile 1993 è quella del segretario, di quel tempo, del Pci che aveva cambiato nome in Pds, Achille Occhetto. Quella sera aveva promosso un’infuocata manifestazione nella vicina piazza Navona proprio sui temi della corruzione e della campagna giudiziaria, all’indomani del voto alla Camera che aveva bocciato la richiesta di autorizzazione a procedere contro Craxi.

Sull’onda del disdegno e delle accuse lanciati sulla piazza dei militanti, la corsa verso la casa di Craxi, l’hotel Raphael.  Sul posto c’erano già i camerati del MSI, i leghisti. Nessuno scrupolo per i militanti pdiessini, già comunisti: tutti insieme al linciaggio del nemico-corruttore che si aspetta, esca dall’Hotel: nel frattempo era arrivato il camerata Teodoro Buontempo con due sacchetti pieni di monete che distribuisce a tutti, senza distinzioni politiche di destra o sinistra.

Craxi rifiuta di cambiare uscita e, protetto, dalla polizia va verso l’auto e si allontana dalla bolgia inferocita. Si conclude la storia politica del grande leader socialista e, simbolicamente, cambia la prima repubblica e si apre la stagione del populismo.

A distanza di tanti anni, su Occhetto grava quella vergogna dei militanti del suo ex partito che manifestano, insieme, con i fascisti, senza alcuna distinzione, con assoluta brutalità, contro Craxi. E dice: “quella cosa fu organizzata dal Msi. Io fui subito contrario perché fu una roba sommaria, una reazione inaccettabile.” Ma poco prima, nel suo infuocato comizio a piazza Navona, non aveva risparmiato nessuno. Non aveva detto di aver fatto votare, alla Camera, contro l’autorizzazione a procedere contro Craxi.

Oggi dice; “con Craxi c’erano grandi divisioni ma quelle immagini mi colpirono molto: umanamente e politicamente. Fu un esempio di barbarie innescata furore giustizialista: quella notte, senza dubbio, fu aperta la via per il populismo.

”Dopo trenta anni ci si sarebbe aspettato qualcosa di più di questa caritatevole riflessione: Occhetto in quegli anni non viveva fuori dall’Italia, non era uno spettatore qualsiasi delle cose politiche del nostro Paese, era il segretario di un grande partito e nelle vicende di quel tempo, di quell’assalto al  sistema politico non poteva non dire nulla, non poteva non pensare che la conclusione non poteva  che essere quella del linciaggio a un grande dirigente  della politica italiana e, con lui, dell’attacco all’equilibrio dei poteri costituzionali, troppo semplice e, diciamolo, troppo facile e comodo, oggi, riconoscere  che quel che accadde davanti l’hotel Raphael fu una barbarie. Se la cava con un pusillanime, “ho zero ricordi di quella sera - dice Storace- ma le immagini delle monetine sono una cosa orrenda.” E aggiunge:” non mi risulta affatto che quella protesta fosse stata organizzata dai nostri.” Il capo ufficio stampa del Msi, non sapeva niente, era in vacanza. Forse, alle Maldive.

 È doloroso il ricordo del figlio Bobo Craxi: “mi telefonò che era notte e mi disse: “Bobo tu non hai idea di cosa è successo: sono venuti in duecento sotto casa mia, mi hanno tirato di tutto: ho visto lo squadrismo”. E alla domanda, “ha mai visto suo padre piangere?”, risponde: “ma si figuri, impossibile. Mio padre era addolorato, ma di indole era indomito. Il vero dramma di quei mesi era che non dovevamo più difenderci solo politicamente e dai Pm: era a rischio proprio l’incolumità fisica di tutta la nostra famiglia.

 ” Ancora a carica di emozioni è la testimonianza del fotoreporter Del Castillo: “Capii che il re era caduto. Di quei momenti ricordo l’orgoglio di quest’uomo, che uscii a testa alta: poteva scappare dal retro, ma credo che volesse dare una lezione a tutti”.

 Dopo trent’anni bisogna solo non dimenticare.


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